giovedì 25 novembre 2010

Nuovi Stranieri in Casa

Parlando con il caporedattore de il Sole24Ore, mi raccontava di come la sua carriera fosse stata in qualche modo favorita da un evento tecnologico: l'arrivo in redazione del computer con tutte le sue conseguenze.

Si è creata così una cesura, spesso insanabile tra la vecchia generazione che a malapena aveva accettato la macchina da scrivere elettrica e la nuova generzione che, invece, non aveva nessuna remora a buttarsi a capofitto nelle nuove opportunità che la tecnologia offriva.

Veniva così a mancare, nel giro di pochi anni il terreno per esercitare l'esperienza che i "vecchi" avevano accumulato e si configurava un modo di trovare, confezionare, e pubblicare la notizia del tutto nuovo. Naturalmente gli editori permisero solo a pochi cavalli di razza di conservare le vecchie abitudini (Montanelli e Biagi tra tutti) mentre per tutti gli altri la sceta fu semplice: o ci si adatta o si viene relegati ai trafiletti. Si apre così un vuoto di potere che viene rapidamente colmato dalle generazioni nuove (questo processo è cominciato ormai qualche decennio fa, i "giovani" di cui stiamo parlando stanno omai sulla cinquantina).

Ecco, improvvisamente gli artigiani della lingua si trovano stranieri, incapaci di dialogare con i nuovi flussi di comunicazine e si fanno un poco alla volta muti. Un processo che non è ancora finito. A fine settembre il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli pubblica una lettera aperta alla redazione nella quale afferma: "Non è più accettabile che parte della redazione non lavori per il web o che si pretenda per questo una speciale remunerazione." in sostanza le nuove tecnologie fanno parte del bagaglio professionale di ogni giornalista e considerarle un fastidio da indennizzare una pretesa assurda. Bisogna adeguarsi dunque, comprendere una lingua nuova e utilizzarla per la propria professione.

Un passaggio non molto diverso da quello che fa uno straniero per adottare una lingua nuova.

tu da che parte stai?


"L'italiano è una lingua parlata dai doppiatori".
Ennio Flaiano

vs


"Gli attori sono l'ultimo avamposto della lingua italiana". Gabriele Lavia

Bella domanda

VOLETE SAPERE SE TAWFIK E' ARRIVATO ALLA CENA?

Seguite le prossime imperdibili puntate sulla cena a sorpresa con (?) autore.


mercoledì 24 novembre 2010

TAWFIK COUNTDOWN


Ci siamo anche noi.....finalmente!
Mancano meno di due ore alla cena con Tawfik: i preparativi fervono, i piatti sono pronti per essere messi in tavola.

E giusto perché siamo in atmosfera aperitivo, permettetemi di anticipare qualcosa del menu:

-antipasti vari (si spazia dalla piada romagnola a cremine e stuzzichini di altro genere)
-pasta al forno alla tranese
-polpette di tonno
-insalata della fortuna
-castagnaccio

Ci siamo attenuti più o meno alle nostre rispettive tradizioni gastronomiche, come spunto da affiancare al tema della lingua matrigna.....
Speriamo di potervi presto aggiornare anche sugli esiti della discussione con il "nostro" autore.

E se invece si dovesse dimenticare della cena........
faremo foto per testimoniare quello che si è perso ;)

Buona serata a tutti,
collettivo Cronopios (alias Francesca, Arianna, Margherita, Michele, Irene, Lorena)

lunedì 22 novembre 2010

PADRONI DI CASA

Buttiamola alta.

Dice - Heidegger - che il linguaggio è un luogo che si abita. Un luogo reale, che viene abitato dalle persone. Una casa. Dice – sempre Lui – che quindi il linguaggio non è solamente una questione linguistica. Come il mondo non è solo una questione da geografi, aggiungerei. Un luogo con le sue regole, che ha nei gesti, nella storia che lo precede, nelle persone che lo abita, le sue appendici. E senza le quali non è niente. Dicono - i linguamatrigni – che praticare una nuova lingua è stato per loro come traslocare. Come cambiare padrone di casa, aggiungo io.

Ecco, sarà il mio amore per la simmetria, ma io qui ci vedo una correlazione. Quindi più che lingua-madre e lingua-matrigna, direi lingua-padrona-di-casa.

Ed entro il 5 di ogni mese tocca pagar l’affitto, e io non so in cosa consista.

E nemmeno la caparra.


domenica 21 novembre 2010

NAPOLITUDINE

C’è un libro di Erri De Luca che si chiama Napolitudine. Erri racconta spesso che l’italiano per lui è una lingua matrigna. La lingua del cuore è il napoletano, con i suoi suoni pieni e sospesi. L’ammore lo vivi più intensamente dell’amore. Mo arriva prima e più fugacemente di adesso. Sono sicura che sia questo a non mancare mai nella valigia di Erri. La Napolitudine. Quella lingua che anche se per tanto tempo smetti di usarla non ti dimentichi mai di come l’hai amata. Di quanto la ami.

Cose da bar

Capita che entri in un bar e la giornata svolta. A me qui,  in questo bar insomma, è già capitato altre volte. Sarà che i proprietari, loro, quelli lo amano davvero il loro lavoro e tu lo capisci subito fosse solo per l'esposizione di torte fatte in casa. E la musica. Sempre musica di qualità che non te l'aspetti da un baretto di zona San Donato. Una mosca bianca. Pare.
E qua sento, per la prima volta da quando sono a Torino - forse perché non esco tanto - sento un discorso in dialetto piemontese. Willy Bartender versus Alberto Customer. Li ascolto e penso a Lingua Matrigna - succede. Quando Alberto esce mi giro verso Willy e gli dico:
- lo parli bene il dialetto
- ma io non sono di Torino, sono di giù - mi risponde - è che son portato per le lingue.
e io ci sono cascato,  a me son sembrati  proprio due piemontesi doc che si scambiano una confidenza.
Gli spiego che questa cosa delle lingue mi interessa, che mi fa strano pensare a lui immigrato dal Sud mentre parla la lingua dei padri piemontesi, una sorta di "lingua patrigna".
E lui mi fa: - eh, beh c'è di peggio, te lo sai cos'è il Lunfardo?
Eh no, non lo so cos'è il Lunfardo quindi me lo faccio spiegare.
Beh, pare sia una specie di linguaggio, né dialetto né lingua, in voga in Argentina dopo le forti immigrazioni del XIX e XX secolo. Così dice Willy. Un linguaggio che nasce dall'italiano, dal piemontese, dal genovese, dallo spagnolo, da termini occitani. Un mix. E lui ha una cliente che lo parla. Una sorta di lingua parade usata per comunicare fra "fratelli" impedendo agli altri di capire il verso significato della comunicazione.
Un argot così si classifica.
E questo è interessante.
Penso al Balun e ai ragazzi che vendono accendini, fazzoletti etc. dalle parti di Porta Palazzo, che molti di loro sanno un po' di dialetto,  parlano varie lingue e mi chiedo: esisterà un argot del Balun? Esiste un modo di comunicare unico e legato ad una  zona di Torino? Esistono queste sfumature o sono ormai scomparse?
In Italia, a Napoli,  esiste il  parlese questo lo so.
Tra nerd informatici si finisce per giocare a scarabeo in Klingon.
C'è chi parla elfico e da bambino ho detto cofomefestafaifi per parlare "in codice con gli amici".
Ma questa cosa dell'argot mi sembra centrale perché nasce dal convergere di persone provenienti da mondi diversi.
Ecco questa è la considerazione.


sabato 20 novembre 2010

Scrivere senza radici (Ornela Vorpsi)


Lasciare l'Albania era un sogno che era vietato sognare.
Ciò che si poteva fare, nella "prigione chiamata Albania", era guardare il mondo libero attraverso un filtro, un tubo catodico, una rappresentazione televisiva di ciò che non hai, un mondo dove tutto è facile... il mondo libero è appena al di là di quel mare verdastro e bulboso: passi l'Adriatico, e sei di là. No, non si può. Vietato sognare.
E se capita, a 22 anni, di scappare, di farcela, ecco cosa succede: "L'incontro con la libertà è stata la cosa più spaventosa che mi sia mai successa; è difficile essere liberi, ci si deve educare alla dimensione libertà, e il pericolo più grande è svegliare quell'altra persona che dormiva dentro di te".
Ornela Vorpsi si è educata da sola. Ha scelto una nuova lingua - l'italiano - in cui raccontare le cose che sapeva.

Perché scrive in italiano di cose legate all'Albania?

Ammesso che io sappia rispondere...preciserò che è una risposta parziale. E' quanto sono riuscita a riportare a galla dal mio inconscio, perché scrivere è un processo creativo che - come tutti i processi di creazione, come l'amore - parla la lingua dell'inconscio. Io sono riuscita a capire solo che dovevo usare una lingua nuova, per mettere un filtro tra me e la mia infanzia. Avevo bisogno di una lingua che non fosse dolorosa.

Quindi l'italiano?

Sì, perché è per me una un rifugio. L'italiano è una grotta fragile. Non lo vivo nella sua pienezza, la mia vita da dieci anni si svolge in francese...l'italiano è la lingua di mio marito, di mia figlia, e della mia scrittura. Non è la mia lingua quotidiana.

Quindi lei parla: albanese, italiano, francese; poi parla una lingua "inconscia", e poi altre due almeno: quella della pittura e della fotografia...riesce a dire le stesse cose?

No. Ciò che faccio con la scrittura, quindi con l'italiano, è molto molto diverso da ciò che comunico con la pittura o con la fotografia: sono linguaggi diversi che veicolano messaggi diversi.

L'Accademia della Crusca, rappresentata da una pacatissima e affilatissima Anna Benedetti, dice dell'italiano di Ornela Vorpsi: "Questa italofonia, che noi abbiamo il privilegio di leggere senza la mediazione della traduzione, rinnova la lingua. Non mi riferisco ad anglicismi, neologismi o cose del genere. Mi riferisco ad una lingua piegata a sonorità nuove, che vengono da lontano".
E' un "italiano slogato", come osserva Stefano Giovanardi dalle pagine di Repubblica, uno strumento linguistico nuovissimo e privilegiato.

Assaporate 130 pagine di Arcipelago Einaudi, Bevete cacao Van Houten! (L'Arcipelago Einaudi)
, con buona pace di Majakovskij.






giovedì 18 novembre 2010

È necessario scrivere?

Leggendo Scrivere Bop di Jack Kerouac mi ha colpito una delle sue frasi che diceva più o meno: sei uno scrittore senti la necessità fisica di scrivere, in ogni momento, quasi fosse un'ossessione. Insomma il sacro fuoco dell'arte detto da uno che era più familiare al Jack Daniels che all'estetica classica.

Mi piace molto conoscere le biografia dei grandi creativi, forse un po' per invidia, e un po' per trovare i segni del loro personale fuoco che li ha portati ad immaginare ciò che prima era inimmaginabile (e che in alcuni casi lo è rimasto)

Da qui ho cominciato ad interessarmi agli autori stranieri e all'idea di scandagliarli. Insomma ci vuole una bella spinta interiore per affrontare l'idea di scrivere un romanzo. Una scelta che implica gravi controindicazioni: l'esporsi al giudizio degli altri, il verificare in maniera definitiva la propria dotazione di talento e di fortuna, la fatica e la frustrazione di non sentirsi all'altezza, il rifiuto, la critica ingiustificata o irritante.

A questo si aggiunga l'utilizzo di una lingua non del tutto familiare, di un paese ospite non del tutto accogliente, anzi piuttosto sospettoso verso gli stranieri e l'impulso necessario per cominciare, continuare e finire, promuovere un'opera del genere mi sembra enorme.

Insomma, scrivere è difficile.

martedì 16 novembre 2010

nel bar dove parte il tram per Superga


sono riuscita ad avere un appuntamento con Farian e di questo sono molto felice.
lei mi dice -vediamoci nel bar dove parte il tram per Superga- e io ho un sacco di echi annakareninaneschi in testa, ma non ho la più pallida idea nè di dove sia Superga (se non verso l' alto), nè di dove soprattutto sia il bar vicino al tram che parte per Superga, per fortuna poi lei me l' ha detto e quindi ve lo comunico: sta in corso casale 234. diventerà nel mio immaginario come quel posto coi tavolini all' aperto dove i due si dicono che le colline sono come elefanti bianchi.

PS.
-È tutto quello che facciamo, no? Guardare cose e assaggiare nuove bibite-.
Così dice Hemingway, che mai avevo sentito così vicino.

The bridge



Voice: Brenna McCrimmon (Canada)
Bass: Alexander Hacke (Germany - Einsturzende Neubauten)
Music: Baba Zula (Turkey)
Director: Fathi Akin (Germany-Turkey)
Location: Istanbul, the bridge city

Cosa mettere in valigia 4



Non sono un gran pittore. E neanche granché come scrittore.

Però mi fa piacere sapere che nelle mie valigie ci siano sempre un quadernetto (un classico moleskine copertina morbida o ancora meglio un winsor & newtron da acquarello) e il set da viaggio di colori: una scatolina con 12 pastigliette di colore ad acqua con il suo bel pennelletto e una matita con la prolunga in metallo.

-

le lingue degli altri


Le lingue degli altri, a volte, hanno accenti più musicali, a volte servono quelle parole lì, estranee, per dare corpo al sogno. In una sera scura, "in un buio di giostre in disuso, qualche Rom si è fermato italiano, come un chiodo ad imbrunire su un muro"....e chissà qual è per lui, in tutto il suo vagare, la lingua madre e quale la lingua matrigna...

Cvava sero po tute
i kerava
jek sano ot mori
i taha jek jak kon kasta

Poserò la testa sulla tua spalla
e farò
un sogno di mare
e domani un fuoco di legna

vasu ti baro nebo
avi ker
kon ovla so mutavia
kon ovla

perché l'aria azzurra
diventi casa
chi sarà a raccontare
chi sarà

ovla kon ascovi
me gava palan ladi
me gava
palan bura ot croiuti



sarà chi rimane
io seguirò questo migrare
seguirò
questa corrente di ali



giovedì 11 novembre 2010

Gemellaggio napoletano

Come preannunciato, ho ricevuto da Luca Castellano (ex masterista holden e romanziere) una richiesta di gemellaggio che qui inoltro:

"L'associazione dei Rifugiati di Napoli (sito che a breve sarà aggiornato) ha commissionato alla mia società oldlucast l'ideazione e la realizzazione di un documentario che sarà prodotto con una parte dei fondi previsti dal progetto "M'mov' - Migranti in movimento", progetto vincitore del "Bando di idee 2009" della CSV di Napoli

In questo momento io sto scrivendo il documentario, titolo provvisorio "La maschera dei Rifugiati"

"La maschera dei rifugiati" racconterà le storie dei rifugiati di Napoli (in maggioranza africani del Burkina Faso) a partire dai loro volti e dalla città che li ospita: Napoli. Una città che, tristemente alla ribalta delle cronache nazionali/internazionali per la questione della monnezza, sembra trasformare i migranti da "rifugiati" a rifiutati". Monnezza, cioè.

Oltre, però, la questione della pelle- maschera-monnezza, il documentario racconterà gli occhi e le bocche dei rifugiati. E la loro lingua, le loro lingue: è su questo tema che vedo uno spazio di collaborazione con Lingua Matrigna

A differenza delle storie dei rifugiati, da quanto ho capito, credo che il vostro progetto racconti un tipo di integrazione diversa, di persone che non hanno bisogno di assistenza, cioè. La sofferenza però, penso, sia la stessa. Sono differenti, forse, la lingua e i modi per raccontarla. Ecco: credo possa essere interessante andare alla scoperta dei punti di contatto. Mettere a confronto diversi tipi di faccette. Far dialogare, cioè, l'alto e il basso della stessa lingua matrigna.


Rimangono sicuramente, però, alcune domande: Come? Facendo raccontare le storie dei rifugiati da qualche scrittore? Oppure invitando questi ultimi a riflettere sulla condizione ontologica dei rifugiati, quella di essere considerati immondizia? O, ancora, invitando gli scrittori a partecipare, insieme ai rifugiati, alla pulizia di alcuni quartieri di Napoli? Avete idee e suggerimenti da proporre?"


mercoledì 10 novembre 2010

Mettere in valigia 3


Avete mai sentito la classica e banalissima domanda: “cosa ti porteresti su un'isola deserta” ?

Scommetto di sì.


Io a questa domanda ho sempre risposto in maniera stupida perché a me le isole deserte non piacciono e quindi ci porterei un mucchio di gente.

Ci si sente soli su un'isola deserta, non credete?


Quindi, quando c'è stato da partire, da andare su un'isola deserta, ho messo in valigia tutti i miei amici.


In teoria ci si sono messi loro ma ora spiego meglio...



Siccome sono una melodrammatica, prima di partire per Torino ho radunato tutte le persone a cui volevo bene e ci sono uscita a cena per salutarli come si deve (da notare che abito a Milano e quindi sono solo 2 ore di treno).

E loro come regalo mi hanno fatto un cartellone con un mix delle foto più divertenti fatte assieme.


Volevano dirmi che se sull'isola deserta non avessi fatto amicizia con Venerdì e gli altri cannibali, avrei potuto guardare appese al muro di camera mia le loro facce buffe e avrei sorriso.

Quindi, datemi pure della sentimentale, ma credo che non si possa portare in valigia qualcosa di meglio!


p.s Se cliccate sull'immagine potete ingrandirla meglio e vedere ogni singola fotina...io l'ho appena scoperto!


p.p. s Livio o Livio, invoco il tuo perdono ma non sono capace di mettere il post nella sezione "valigia"!


Lingue morte, lingue vive

Dizionario Delle Parole Intraducibili

Lo psichiatara nipponico Takeo Doi, pubblicò qualche tempo fa un saggio che in Italia è stato pubblicato come Anatomia della Dipendenza. Lo psichiatra parte dalla constatazione che esistono delle parole intraducibili per arrivare alla constatazione che lingue diverse, siano costruite strutture mentali diverse.

La sua analisi parte dal temine giapponese amae:

"Amae (甘え) è una parola giapponese coniata da Takeo Doi partendo dal verbo amaeru ed è un sostantivo usato come parola-chiave per spiegare, analiticamente, il comportamento di una persona che cerca di indurre una figura autoritativa, come un genitore, un coniuge, un insegnante o un superiore, a prendersi cura di lei. Il verbo in sé è usato per descrivere il comportamento di altre persone. La persona che sta esprimendo amae può implorare o lamentarsi o, in alternativa, può agire egoisticamente nella convinzione che la persona che si occupa di lei perdonerà e sarà condiscendente. Il comportamento dei bambini verso i genitori è forse l'esempio più comune di amae, ma è stato suggerito che le pratiche pedagogiche nel mondo occidentale cercano di interrompere questo tipo di dipendenza nei bambini, mentre essa continua fino all'età adulta, nelle relazioni più strette, in Giappone" (da wikipedia)

Nell'intervista di Elvira Dones ritroviamo la stessa difficoltà nel trovare una parola corrispondente in altre lingue per la parola albanese mall, che viene tradotta con un giro di parole. Sarebbe interessante cerare un dizionario, insieme agli autori, di queste parole intraducibili.

A questo proposito aggiungo, in alto, il link ad una pagina che si chiama, appunto Dizionario delle Parole Intraducibili. Ora non resta che coinvolgere i nostri autori.

martedì 9 novembre 2010

Come si Farian?

Mi sono reso conto che la questione Farian è assai complicata. L'ho osservata nei video disponibili su Youtube e segnalati dal buon Morgana. Mi sembra sia una donna che tiene alla propria immagine, abituata alla camera e a comunicare su argomenti che giustamente ritiene urgenti. 
Mi ritrovo a non sapere quasi nulla di Islam, di Iran; poco, sicuramente non abbastanza da poterne conversare.
Così ho pensato di dare un'occhiata ai registi e alla musica che viene da quelle parti...e ancora una volta o capito di dover colmare un grosso gap. Ne varrà la pena ma ci vuole tempo.

Così mi sono chiesto: cosa posso fare davvero per "lingua matrigna"?


Metterei a disposizione la mia esperienza non lunghissima ma decente e autonoma per riprese, montaggio, musiche e audio.
Metterei a disposizione la mia conoscenza di grafica e computer (in questo caso il curriculum è decisamente più lungo). 
In ultima istanza la mia cucina (sia come spazio che come preparazione cibi).


Pescate a piene mani. 

Poi, volendo dire tutta la verità mi sono ricordato di conoscere una canzone iraniana molto bene, quasi a memoria e mi piacerebbe chiedere a Farian cosa dicono le parole originali. 
Unica cosa: temo sia difficile introdurre questa strana parodia ma ho idea che con i gemellaggi tra lingue abbia a che fare in qualche modo: 
dovrete solo pazientare fino al minuto: 00.54


.

Diventare Nabokov

Poiché del ricordo di 37 anni vissuti in russo si trattava, ripercorrerli nella madrelingua permise a Nabokov di colmare lacune, aggiustare incongruenze, rivedere le sviste di Mnemosyne. Tornato in Europa dopo 20 anni di assenza, poi, confrontatosi con i ritrovati parenti, apportò allo scritto ulteriori «modifiche sostanziali, e copiose aggiunte», informava nel '66. Infine ne ritradusse la versione definitiva in inglese, pensando che quella «ri-anglicizzazione di una ri-versione russa di ciò che fu ri-narrazione inglese di ricordi russi» fosse sì «un compito infernale»: una fatica «mai tentata da esseri umani». Una di quelle «metamorfosi multiple», però, «ben nota alle farfalle»: delle quali miracolosamente dispiega sulla carta l'intrattenibile bellezza. (da La Stampa)

Qui tutto l'articolo:

Come si diventa Nabokov di Alessandra Iadicicco (La Stampa)

Intervista a Elvira Dones - I PARTE




Cara Elvira,

abbiamo pensato di inviarti per ora cinque domande (o quattro domande e mezzo), per iniziare questo carteggio virtuale.
Sono domande incentrate prevalentemente sul viaggiare e sull'adottare una lingua diversa dalla propria lingua madre per scrivere.
Aspettiamo le tue risposte per continuare l'intervista.

Ci piacerebbe molto se tu potessi inviarci la fotografia di uno o più oggetti che ti sei portata dietro nel corso di questi anni e che ti ricordano i luoghi in cui hai vissuto.

Anche noi faremo lo stesso e pubblicheremo le immagini sul blog.
Qui a Torino piove, piove sull'Italia intera che piano piano sprofonda nel suo bel mare (per citare Pasolini).

Il pantano ormai si declina in tutte le sue forme, fisiche e politiche. Ci salveremo? Chissà!

Buona giornata a Los Angeles, giornata appena cominciata!


Alice e Chiara



1- Cara Elvira, in un’intervista hai detto “sono sempre con la valigia e guai a chi me la toglie quella valigia”.

A cosa non può rinunciare una che è sempre in viaggio come te? E cosa sei disposta a lasciare a non chiudere in valigia?



Non potrei non infilare nella valigia i ricordi. Ora, mi direte, i ricordi non sono cose, perciò là dentro non ci vanno. Invece ci vanno, per me sì. I Balcani, dove sono nata e cresciuta, hanno generato troppi volti, dolore, parole, umorismo, solitudine, bellezza e crudeltà.

Non mi sta tutto nella testa, e ho le viscere sovraccariche. Perciò ogni volta in valigia ci vanno i ricordi più profondi: la foto di mio padre; una mia foto vestita da soldato – il servizio militare era obbligatorio nell'Albania di allora; una foto di mio figlio, era talmente bello, un bambino da “consigli per gli acquisti”. Ma quel bimbo riccioluto poche settimane dopo lo scatto della foto mi disse che voleva diventare come Gorbaciov. “Gorbaciov sta facendo la Perestroika che farà diventare l'Unione Sovietica come tutto il mondo. I sovietici andranno in giro per il mondo, noi albanesi invece no” commentò.

Il bimbo di soli cinque anni voleva diventare Gorbaciov e cambiare l'Albania.Vedete? Non sono foto. Sono macigni, segreti, sogni, timori di essere scoperti. Invece lascerei fuori dalla valigia le porcellane, i souvenir, i kilim...




2- Hai traslocato tante volte: dall’Albania alla Svizzera Italiana, dalla Svizzera agli Stati Uniti. C’è un casa che chiami home tra i tanti luoghi che hai abitato? Che cosa resta delle dimore precedenti nella casa in cui vivi ora?


Chiamo home l'oceano Atlantico, e il perché sarebbe lungo da spiegare. O forse no. Da giovanissimi (in segreto, in gruppi strettissimi) discutevamo di un altro mondo: quello fuori dal lager albanese, aldilà della prigione. Alcuni miei amici sognavano l'Italia, altri la Francia o la Germania. Io sognavo un luogo lontano, l'America, ma non perché era “l'America” (per noi ragazzi l'America era l'Italia, parlicchiavamo la lingua, guardavamo di nascosto RaiUno, insomma cose che voi ora sapete, ve le abbiamo raccontate).

Io sognavo l'America per via della distanza che ci separava, ero una bambina estrema e diventai un ragazza estrema. Mi affascinavano i viaggi di Marco Polo; la storia di Gengis Khan; i vichinghi che attorno all'anno Mille si buttarono in un'avventura assurda e provarono (si dice) ad attraversare l'Atlantico: quella massa di acqua immane su certe barchette piccole come scatole di fiammiferi. Bel fegato... Ecco cosa mi spingeva: l'audacia un po' suicida, nonché il bisogno di lavar via il profondo dolore. Comunque non feci cenno a nessuno della mia utopia, mai parlai della mia meta, dicevo solo: “Io non morirò qui. Qui no.” E forse per via di come lo dicevo, nessuno osava cercare di capire di più.


Dall'Albania ho potuto recuperare solo fotografie. Null'altro. Lasciai il paese prima della caduta del muro di Berlino. Venni considerata “un nemico dello stato”.Quando rientrai per la prima volta dopo la fuga e dopo la fine del regime, non riuscii nemmeno a entrare nella casa dove, giovanissima, avevo avuto e tirato su per cinque anni il mio bambino. Non riuscii a portare via ciò che più mi apparteneva: i libri. Una bella libreria: costruita, amata, archiviata, custodita da me e solo da me. Altra lunga storia...


Dalla Svizzera ho portato via tutto: impacchettato, caricato in un container che avrebbe attraversato l'Atlantico. Quintali di libri film musica e pochi mobili essenziali. Perciò la casa dove vivo ora è piena d'amore; impregnata del senso di avventura e di viaggio.

Restano nella casa svizzera i ricordi più conflittuali e di conseguenza i più cari. E' lì che feci conoscenza con l'occidente: mi ero riempita la testa di letteratura, ma la realtà era altra cosa.

Oggi ci ritorno con un senso di nostalgia e di rivincita. La Svizzera mi mise a dura prova, ero “la donna dell'Est”, o meglio “la furba dell'Est”... Il pregiudizio era spietato perché vestito di guanti bianchi. Io avrei preferito di gran lunga i pugni diretti sul volto, quelli sapevo combatterli, ma le finte buone maniere e certi sguardi di sufficienza, altroché se mi mandavano in bestia...

Comunque, con la Svizzera non c'è mai stato un divorzio; e perché avrebbe dovuto succedere? Oggi, ogni volta, a ogni ritorno, provo l'emozione di sedermi in quel meraviglioso giardino dove mia figlia mosse i primi passi e dove mio figlio diventò un adolescente e poi un giovane cittadino del mondo.



3- E la tua libreria? Contiene testi che hanno viaggiato con te in questi anni?


Beh, i libri restano una malattia. Mi consola però il fatto che è una malattia assai diffusa tra la gente del club cui appartengo. Avevo scritto il primo romanzo all'età di nove anni scarsi. Erano dieci pagine. Il titolo era “Romanzo”... Ridicolo, no? Ogni tanto volto la testa e vedo quella ragazzina: impacciata come pochi. La casa di oggi è un'orgia di libri. Vivo con un compagno che li ama tanto quanto me, per cui non c'è nessuno che ferma l'altro quando si tratta di aggiungere altri libri.



4- Secondo Humboldt, a ogni lingua corrisponde una specifica visione del mondo:quali sono le diverse visioni del mondo che stanno dietro alle due lingue che hai utilizzato per scrivere (italiano e albanese)? Cosa implica guardare alle proprie origini da lontano e scriverne in una linga differente?


La visione del mondo è la mia, con arroganza e umiltà (perfetta contraddizione, lo so), piego le lingue alla mia visione del mondo. Devo alla lingua albanese moltissimo: è una lingua “piccola”, se andiamo a guardare i numeri. Pochi milioni di albanesi e kossovari che la parlano. Ma quanta forza...
Ho iniziato a ficcare il naso molto presto in altre lingue. Iniziai a studiare l'italiano a otto anni. L'inglese a tredici. Il francese a diciotto. Il tedesco a ventidue. Lo spagnolo a trentaquattro anni...

Ho scritto i primi sette libri in albanese, ed era come andare a nozze. Quello avevo desiderato fare: scrivere. Iniziai aiutata da una visione stupendamente vivace e devastante. La lingua albanese è molto ormonale e gioiosa (più sei un paese piccolo e più vuoi rompere gli argini). Ma più tardi, e con grande timore, qualcosa mi ha spinto a scivolare verso l'italiano. E' lunga storia pure questa.

In breve, per quanto mi riguarda “rubo” con molta leggerezza e forse con incoscienza da diverse lingue. Vivere sempre in luoghi diversi; essere in contatto, non di rado, addirittura con i diversi dialetti oppure i lingos delle lingue altrui, fa sì che ogni idioma penetri nell'altro. Ecco, tengo in testa una vera Babele...Un grande cruccio mi resta: non avere studiato il russo, l'ebraico e l'arabo...

L'amore per i paesi passa in me attraverso la lingua, la musica e i paesaggi di quel paese. Quindi sono d'accordo con Humboldt e al contempo mi permetto di contestarlo – sempre a livello personale. Ogni scrittore è un'isola arrogante; fragile; sola e popolata al contempo. Si sceglie, dentro la propria lingua, la visione che vuole, non ciò che gli si impone.



5- Per esempio la parola “mare” in greco ha molteplici nomi e significati: il mare è als cioè sale, è pelagos cioè distesa d’acqua, è pontos quindi vastitià e viaggio, è thalassa quindi mare come esperienza: hai incontrato parole le cui sfumature di significato sono difficilmente traslocabili da una lingua all’altra?

Mi fermo a una sola parola della mia lingua materna: mall. Di sicuro nella vastità del pianeta linguistico ci sarà una lingua, addirittura più d'una, che esprime la stessa identica cosa con la stessa identica forza. In albanese mall è la mancanza di qualcuno in maniera struggente, definitiva, quasi distruttiva. La nostalgia fatta morte, fatta vita, fatta viscere; è il più puro, il più intransigente degli amori. Quando in albanese si dice “Më ka marrë malli” (mi ha avvolto, mi ha colto il mall) non è “mi sei mancato”. Parole come mancanza, nostalgia, di fronte al “mall” impallidiscono. “Mi sei mancato” in albanese esiste, si dice “Më ke munguar”. Quando dici mall intendi l'amore definitivo e il più generoso che un essere umano possa dare.



E. Dones

November 7, 2010

Washington D.C. - USA


lunedì 8 novembre 2010

chi esclude chi a piazza vittorio - amara lakhous



inanzitutto una visione preliminare. quasi un test di Rorschach delle vetrine di piazza Vittorio a Roma dove è ambientato il romanzo di Amara Lakhous. La prima cosa che mi ha colpito fotografandomi intorno è che sembra esserci un grande rimosso nelle pagine di Lakhous, ovvero la realtà cinese. Vi sono infatti le voci di un iraniano, di un olandese, di un milanese e di una napoletana (e molte altre) che si intrecciano nel romanzo, che parcellizzano la realtà (pratica umana) per poterla mettere al servizio dei soggettivi rancori, o amori, che poi come si dice in Donnie Darko "il vero opposto dell' amore non è l' odio ma la paura".

(Donnie: Life isn't that simple. I mean who cares if Ling Ling returns the wallet and keeps the money? It has nothing to do with either fear or love.
Kitty Farmer: Fear and love are the deepest of human emotions.
Donnie: Okay. But you're not listening to me. There are other things that need to be taken into account here. Like the whole spectrum of human emotion. You can't just lump everything into these two categories and then just deny everything else!)

Ma non ci sono cinesi. Ora: com' è possibile?!? Per molti anni chiunque ha considerato piazza Vittorio un imbarcadero cinese a tutti gli effetti, prima ancora che ci rendessimo conto che vi erano molte altre realtà. Ci sono delle vie a piazza Vittorio e limitrofi in cui vi sono solamente negozi di abbigliamento cinesi. Non sto scherzando. E' come se in una via di una qualunque città vi fossero solo negozi di toelettatura per cani, tutti uguali, uno dopo l' altro. Come la mettiamo? sono quasi sicura che qualcuno avrà una risposta, forse l' avrà già data, è una cosa che fa alzare il sopracciglio, ma solo perchè non la capisco. Quindi l' altra vera domanda che mi pongo è: perchè in un romanzo ambientato a piazza Vittorio che contempla così tante diversità, una delle più evidenti non viene presa in considerazione?

qui sopra ci sono due vetrine. una è di un negozio di oggettistica italiano, e l' altro è di un negozio di oggettistica cinese. vi lascio al vostro test di Rorschach.

Ecco perchè poi l' altro giorno in classe mi è venuto da chiedermi: ma scrittori cinesi che scrivano in italiano? dovrebbero essercene eccome.

Primo resoconto di una cena con Ziarati

La prima volta che lo vidi, era su google. Credevo, con quella camicia, e vista la sua nazionalità, che fosse uno dei pochi sopravvissuti ai sopprusi del carcere di Guantanamo. I soliti pregiudizi.
Ma poi l'ex recluso terrorista che non è ne recluso, ne, tantomeno, terrorista, si siede al tavolo e parla e mangia e beve con noi. E parla.

E parlando scopriamo che non solo parla. Ma anche scrive. E pare, anche per Einaudi. Insomma Einaudi lo pubblica. Idiota io che tanto già lo sapevo e ci sono a cena apposta. Lui Einaudi, io lingua Matrigna. Mi sembra giusto sarebbe strano il contrario. Mi fingo disorientato come se non avessi mai conosciuto uno scrittore Einaudi. E infatti è vero.

Uno si aspetta che uno scrittore Einaudi ti dica cheil suo sogno fosse stato, da sempre, pubblicare con Einaudi o roba simile. Che scriva in continuazione col suo pennino e sulla sua scrivania.

Manco per niente.

Lui mi dice che un giorno sua moglie gli fa: "sono in cinta". Lui ci pensa e risponde "Scrivo un libro". Bam! Einaudi. Viva le scuole di scrittura..

ziarati in esclusiva! ops! no! :-(

come una maledetta spia mi ritrovo qui alla holden senza in realtà volerlo o meglio, dovevo essere qui per riuscire a caricare delle foto per il blog, cosa che non mi sta riuscendo, ma, SORPRESA! come nei migliori film di frank capra sul giornalismo, ECCOMI QUI CON ZIARATI!
o meglio, lui non sa niente della mia silenziosa presenza, ma in diretta dall' evento live vi descrivo l' andamento della serata, fino a quando il mio desiderio di una pizza non avrà il sopravvento.

mi avvicino per leggere meglio il labiale di Ziarati e scopro con ORRORE! che in realtà è Bodrato a parlare. Allora vado dalla Moisio a chiederle se per caso dopo Ziarati parlerà e lei mi dice : no!
Lei mi dice: ma scusa! chiedigli un' intervista in esclusiva!

ok adesso individuo dov' è esattamente nella sala e starò qui a sopportare il clima rigidissimo di centinaia di provetti scrittori attendendo che Ziarati mi si liberi.

nel caso non riuscissi a liberarlo o lui non volesse farsi liberare, allora semplicemente lo osserverò in stato di cattività.

spezzarsi il cuore a piazza vittorio


Oggi ero a piazza vittorio, a roma.
E’ dieci anni che mi ritrovo a piazza vittorio, a roma.
Sempre per motivi diversi, e la cosa banale che penso è quanto
I luoghi non esistano in realtà.
Come siano raggiungibili, ma in realtà te li sei giocati in un attimo.
Soprattutto dopo la prima volta che ci sei stato, quello a cui torni non è mai un luogo e basta, ma il luogo delle tue aspettative, o dei tuoi ricordi. Per raggiungere un luogo nella maniera che dico io devi quantomeno ricordare col corpo com’ eri quando ci stavi, e adesso che sono tornata ospite nella casa a piazza vittorio in cui ho vissuto per due mesi mi si è spezzato il cuore.
All’ epoca avevo della carne addosso e sempre lo stesso vestito nero, e quasi sempre le mie ciabatte rosa. Avevo i capelli bianchi, adesso sono gialli ed ero incredibilmente felice.
Cosa c’ entra col melting pot? Assolutamente niente.
Cosa c’ entra con la lingua matrigna? Niente.
Camminavo per la strada in cappotto questa mattina, niente più ciabatte rosa.
Volevo scattare delle foto per il blog, alcune cose, alcune vetrine erano ancora uguali a come le avevo viste l’ ultima volta, e ho appoggiato i polpastrelli su una di queste vetrine per accertarmi che ci fosse, che fosse lei, quella col pupazzetto rosa che si chiama E e dondola la testa, e quando ho sentito che in effetti quella vetrina era lì e allora, ho pensato che quell’ altra di vetrina però non c’ era più.
Chissà se esiste un back up dei posti così come li abbiamo conosciuti, quando non che fossero più belli, semplicemente credevamo che per il solo fatto di esserci ci sarebbero stati per sempre.
Blogger non mi sta caricando la foto del pupazzetto rosa, ci riproverò più tardi, altrimenti sceglierò la morte.

del difficile e della paura

 del difficile e della paura di non essere capace a postare delle foto

mi ritrovo ad avere 5 minuti di libertà espressiva e temporale che in questi 5 minuti considererò pressochè totale.
parlerò della difficoltà per me, e forse anche per altri, di trovare un equlibrio tra il compito di documentare questo progetto e l' esigenza di metterci dentro me e la mia vita, o quantomeno di trovare una via personale per esprimere un punto di vista su questo progetto, o per ritrovarmene coinvolta in maniera che possa anche interessare altri.
Tutto questo con la presunzione di pensiero che se io per prima ne sono coinvolta, anche per altri, sarà più facile esserlo a loro volta. Che non è detto. Anzi.

Non so se questo sia giusto o utile, vorrei che anche altri esprimessero un pensiero a questo riguardo. Se questo debba o possa essere un blog che verte unicamente sul progetto "lingua matrigna", o se possa essere anche uno spazio in cui esprimere non solo il proprio spaesamemto linguistico, ma anche geografico ed ideologico e del non saper bene che fare.
Su quanto sia difficile trovare un linguaggio o un parlato quando non sai bene dove stare o dove sarai o che vuoi fare o essere.

Vedo che ci sono state delle derive come quella della "valigia" che forse esulavano dal progetto globale e che io personalmente ho apprezzato e trovato stimolanti perchè ci facevano in un certo senso entrare in acqua nonostante tutta la paura che uno ha dell' acqua, di non essere certi di riuscire ad arrivare alla fine della vasca e anche, forse soprattutto, che chi ci vede da fuori possa pensare che in effetti il mio stile libero di nuoto faccia schifo e di quanto io sia penosa quando vado a sbattere con le braccia contro i divisori in plastica.

Io, fino a prova contraria, dopo questi 5 minuti di pressochè totale libertà cercherò di darmela ancora questa libertà, forse sbagliando, e in questo caso i miei post verranno rimossi, se non da me, dall' amministratore, o dal mio super-io.
Questo era un auto brain storming di 5 minuti attendendo che vengano a farmi delle riprese per una cosa di cui non mi frega un cazzo.
Siamo sommersi dalle cose di cui non ci frega un cazzo e la cosa che per me risulta davvero importante è come trovare il modo di non perdere in tutto questo l' entusiasmo per quel poco che ancora ci interessa.
Che questo sia rimasto poco non so come sia stato possibile, e forse qualche post verterà anche su questo.
Super-io permettendo.

domenica 7 novembre 2010

a volte ritornano


Vi sono mancata?
Immagino di no, qua le cose sembrano procedere a meraviglia.
Sono tornata però con frizzanti novità:
il 24 novembre Younis Tawfik ci farà l'onore di cenare con noi!

Come vi avevo accennato nei precedenti post, si tratterà di una cena informale completamente casalinga. Faremo sentire a Younis la tipica curiosità Holden, insieme al nostro calore.
Speriamo che vada tutto bene e nel frattempo penseremo al menù da fargli gustare.


Citando una mail di Margherita che già programmava da un po' questo lieto evento:

"Per fare una buona cena ci vuole…

Arianna, custode sapiente dei sapori del mondo.

Francesca, paziente artista delle forme perfette.

Irene, speziata rivoluzionatrice delle tradizioni.

Lorena, la regina dei biscotti.

Margherita, che decisamente non può parlare di sé.

Michele, geniale scopritore delle abbinate speciali.

Mattia, the american side of the moon. "

E visto che di lei non può parlare...

Margherita: dolce sperimentatrice dagli esiti sempre perfetti

giovedì 4 novembre 2010

ZIARATI COUNTDOWN



Lo so, magari è esagerato, ma manca un'ora all'incontro con il "nostro" autore di riferimento, Hamid Ziarati, e vorrei far salire un po' di febbre del giovedì sera.
I commensali che la società Ziarati S.p.a ha deciso di mandare in campo sono:
Chiara Valentini ("ciglia e poppe" [cit.] e cattiveria agonistica) Giulio Carrieri (er fascetta delle Fraschette), Marco Lavaggi (l'Enigma d'Imperia, per difficoltà di articolazione mandibolo-neuronale all'ennesimo bicchiere), Raffaele Riba (lo Zichichi della letteratura). All'ultimo si inserisce nelle liste anche il bomber di razza siracusano, Vittorio Scifo, alias il Killer.
Mi sembra di poter dire che il nostro caro Hamid è spacciato.
Un commento a caldo verrà fornito a fine primo tempo, per tenere aggiornati i curiosi.

Per i cinque della serata: se le cose dovessero andar male, il Po è vicino, disfatevi del persiano! Cioè...delle prove, volevo dire, naturalmente!
Per Vittorio: racconta la barzelletta del Banaker, ma stai sotto i cinque minuti!

Buona mangiata
Marco A.

Cosa mettere in valigia? #2


E allora deh, posto pure io, visto che mi ero registrato.

Partecipo alla galleria degli oggetti feticci con un poster. Nella categoria Oggetti feticcio vige la regola che il proprio è sempre e comunque nettamente superiore a quello degli altri. Questo è un poster che ho attaccato nelle case in cui ho vissuto e che mi accompagna dal 2004, credo. E, con tutto il rispetto per le vostre valigie, le vostre presine per il forno, i vostri quaderni per gli autografi, questo non ha rivali!

Ammetto che son salito in macchina dal mio paese nella provincia pisana non per il mio oggetto feticcio, ma per portar su due casse di pomodori pelati e salse di pomodoro fatte in casa. Ma questa dovrebbe andar sotto la categoria Sopravvivenza, credo.

Approfitto anche per dire al gruppo di Ziarati che io stasera mi ritiro dalla cena. Ma sono ancora presente per buttar giù delle aree di conversazione. Io son convinto che lui è parecchio rock'&'roll, con quei capelli là...

Marco A.

mercoledì 3 novembre 2010

Cosa mettere in valigia? #1


Raccolgo l'invito di Chiara e Alice e rendo pubblica la foto (scattata col cellulare) dell'oggetto più rappresentativo tra quelli che mi sono portato dietro da Milano, venendo a Torino ad holden-are insieme a tutti gli altri animatori di Lingua Matrigna.

E' un oggetto a me molto caro, e vorrei condividerlo con voi così, ossia

(senza parole)

Comunicazione di servizio

Ho abilitato il nuovo editor per inserire i post. Ci sono diverse funzioni in più. E anche un'idea di statistiche (le trovate sulla spalla destra, in basso, rubrica "visualizzazioni")

martedì 2 novembre 2010

RIASSUNTO per il ZIARATI'S GROUP.

sarò sintetica:

- Giovedì sera, ore 21, "da Michele", cena con Ziarati.

- ho prenotato per 5, Ziarati compreso, ciò non esclude l'ipotesi di aggiungere un posto a tavola (visto che siamo 10, se non erro, in modo da andarci almeno in metà)

- serve qualcuno che abbia una telecamera, fotocamera, registratore per essere pronti in ogni occasione ci si presenti (non vuole video? foto. non vuole foto? registrazione. non vuole registrazione? dubito.)

- PROPONGO che alla cena ci sia (rullo di tamburi) RAFFAELE, che mi pare conosca meglio di tutti, oltre che aver letto, i libri degli scrittoristranierichescrivonoinitaliano.

- SUPPONGO di doverci essere visto che sono l'unica che ha sentito finora e sono l'unica detentrice del suo numero.

- RITENGO che tutti i facenti parte del gruppo contribuiscano nell'offrirgli la cena (sì, vuol dire mettere una quota, in denaro, euro) prima della cena, quindi ENTRO GIOVEDì MATTINA.

- PREGHEREI TUTTI a esporre la propria posizione rispetto alla cena: voglio esserci, non voglio, assolutamente ci sarò, non posso, sono un razzista non mi pare il caso, ho visto una sua foto e mi sono innamorata di lui.
FATELO SUBITO per evitare sgozzamenti e lapidazioni poco prima della cena.

- SUGGERIREI una presenza più attiva sul blog, perché è questa la piattaforma che deve contenere gli sviluppi della vicenda.

- RICORDO che tutti possono scrivere post, se si vuole, basta chiedere e, non so in pratica come si faccia, ma si può fare.

- RICORDO 2: Livio ha postato (qualche post fa) una IMPORTANTE COMUNICAZIONE: inizia la fase 2 (trattasi di promozione), e si CERCANO VOLONTARI.

non sono stata sintetica, ma spero chiara.

qualunque cosa mi torni in mente lo aggiungerò in COMMENTO.

buona partita dell'inter a tutti, anche a chi, come me , non segue il calcio.

c.