Parlando con il caporedattore de il Sole24Ore, mi raccontava di come la sua carriera fosse stata in qualche modo favorita da un evento tecnologico: l'arrivo in redazione del computer con tutte le sue conseguenze.
Si è creata così una cesura, spesso insanabile tra la vecchia generazione che a malapena aveva accettato la macchina da scrivere elettrica e la nuova generzione che, invece, non aveva nessuna remora a buttarsi a capofitto nelle nuove opportunità che la tecnologia offriva.
Veniva così a mancare, nel giro di pochi anni il terreno per esercitare l'esperienza che i "vecchi" avevano accumulato e si configurava un modo di trovare, confezionare, e pubblicare la notizia del tutto nuovo. Naturalmente gli editori permisero solo a pochi cavalli di razza di conservare le vecchie abitudini (Montanelli e Biagi tra tutti) mentre per tutti gli altri la sceta fu semplice: o ci si adatta o si viene relegati ai trafiletti. Si apre così un vuoto di potere che viene rapidamente colmato dalle generazioni nuove (questo processo è cominciato ormai qualche decennio fa, i "giovani" di cui stiamo parlando stanno omai sulla cinquantina).
Ecco, improvvisamente gli artigiani della lingua si trovano stranieri, incapaci di dialogare con i nuovi flussi di comunicazine e si fanno un poco alla volta muti. Un processo che non è ancora finito. A fine settembre il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli pubblica una lettera aperta alla redazione nella quale afferma: "Non è più accettabile che parte della redazione non lavori per il web o che si pretenda per questo una speciale remunerazione." in sostanza le nuove tecnologie fanno parte del bagaglio professionale di ogni giornalista e considerarle un fastidio da indennizzare una pretesa assurda. Bisogna adeguarsi dunque, comprendere una lingua nuova e utilizzarla per la propria professione.
Un passaggio non molto diverso da quello che fa uno straniero per adottare una lingua nuova.
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